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Non possiamo dire ai nostri studenti: “Ripassate con il prossimo Governo!”

Pubblicato il: 02/03/2010 16:31:23 -


Che voglia o no, il Ministro dovrà fare i conti con una lunga fase di transizione ricca di contraddizioni e problemi aperti: c’è qualcuno che, costruendo qualche proposta, intende giocare un ruolo in quello spazio?
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Dal 4 febbraio 2010, data del Consiglio dei Ministri in cui sono stati varati i Regolamenti per il secondo ciclo di istruzione, è trascorso quasi un mese e il testo non è ancora stato pubblicato su Gazzetta Ufficiale. Il MIUR schiera sul suo sito slide informative, annuncia una apposita sezione per le domande di genitori e studenti, pubblica schemi e quadri orario. Il MIUR annuncia che tutto è a posto. È stata infatti predisposta una informazione agli Uffici scolastici regionali in cui l’offerta formativa regionale è ridefinita “in automatico”. Sorprendente. Dibattiti, discussioni, incontri per ragionare sul futuro e invece è tutto pronto, in automatico.

Del resto, questa è la spiegazione sottesa all’automatismo dell’operazione, per quest’anno si lavora solo sull’esistente. Per il nuovo ci sarà tempo. L’epocalità dell’intervento si traduce nella fotocopia del presente. Non è salva solo la forma ma anche la sostanza perché nella fase del presente ci sono tutti i tagli che l’operazione sui quadri orario e cattedre determinerà. Ma se tutto è così lineare, chiaro, anzi automatico, perché non possono ritenersi definitivi i Regolamenti?

La “riforma” c’è, ma i provvedimenti che la renderanno legge dello Stato non ci sono. Intanto le scuole medie sono da tempo al lavoro per organizzare gli incontri di orientamento per i ragazzi delle terze medie. Con quali materiali informativi? Con quali documenti ufficiali? Nessuno. Così va nel nostro Paese; il primato della politica viene prima della legittimità degli atti e pare che questo non valga solo per la scuola. Se non ci fossero di mezzo le scelte di qualche milione di studente, il destino di qualche migliaia di lavoratori precari e la mobilità forzosa di altre migliaia di insegnanti, ci sarebbe da sorridere.

Ed è invece prevedibile che poiché la questione è terribilmente seria, siano già in predisposizione migliaia di ricorsi, a partire da quelli delle Regioni che si vedranno di fatto annullata la loro competenza a programmare l’offerta formativa sul territorio. Nasce così la riforma epocale che epocale non è.

La sobrietà, e non solo quella linguistica, non appartiene come è noto ai rappresentanti di questo Governo. Non è epocale nell’impianto, così vicino all’esistente da differenziarsene a fatica; non lo è nella drammatica (per i ragazzi) inferiorità, istituzionale e culturale dell’istruzione professionale; non lo è nel modello organizzativo in cui l’orario dei docenti coincide con l’orario degli studenti. E si potrebbe proseguire oltre.

Alcune differenze, è vero, ci sono: il contenimento di un proliferare insensato di discipline, la riduzione di quadri orario impraticabili per gli studenti (e infatti non praticati sistematicamente) e altre ancora che potremmo definire di buon senso… Peccato che non l’insieme ma una sola di esse sarebbe stata impossibile per un governo di centrosinistra votato per definizione a riforme che o vengono condivise da tutti, proprio tutti, oppure diventano percorsi il cui esito è la conferma dell’esistente. E la storia, prima o poi, presenta il conto, anche amaro, come in questo caso, inclusa la dimensione finanziaria che non è conseguenza ma matrice dei provvedimenti.

Aggiungo solo una annotazione: Gentile vince bipartisan. Vince anche là dove la parola differenziare è vista come divisione classista (che invece è quella che c’è ora, anche ante Gelmini, e con la quale conviviamo serenamente da decenni), dove la sola parola lavoro genera diffidenza e riserve come se formare “con” il lavoro fosse la stessa cosa che formare “al” lavoro; dove la rivincita dell’apprendistato come modalità di insegnamento/apprendimento sul quale lavora da anni Gardner, fosse una minaccia per la nostra cultura. E invece basta stare un po’ in una classe per capire come sia diventato insensato il consumo di informazioni e come l’apprendimento in profondità sia fatto di gesti, azioni, di saperi vissuti nei contesti e non nei testi, dove mano e mente stanno insieme.

Così mi piacerebbe anche la scuola media che non c’è e di cui non parla più nessuno.

C’è però altro di cui vorrei dire. I passaggi nel Consiglio di Stato e Commissioni parlamentari (e anche, prima, nel CNPI) non sono stati una passeggiata per il Governo ed è verosimilmente questa la vera ragione dell’incredibile ritardo dell’emanazione dei provvedimenti. Non mi riferisco solo al prezzo pagato (avvio anche nelle seconde classi, imposizione dei dipartimenti e comitati) ma anche a quello da pagare: l’impossibilità di procedere con decreti ministeriali lungo un percorso che avrà bisogno di altri atti regolamentari e cioè ancora Consiglio di Stato, Commissioni parlamentari, CNPI. Troverei singolare che tutto ciò fosse sottovalutato. Non è questione soltanto di “più tempo” perché quel tempo è anche lo spazio possibile per una politica che non si arrende. Che voglia o no, il Ministro dovrà fare i conti con una lunga fase di transizione ricca di contraddizioni e problemi aperti: c’è qualcuno che, costruendo qualche proposta, intende giocare un ruolo in quello spazio? Non mi riferisco soltanto alle iniziative di resistenza giuridica che fioriranno intorno agli atti che seguiranno i regolamenti.

Di molte cose la Gelmini ha potuto non tenere conto, salvo quell’autonomia oramai di rango costituzionale; e quegli spazi così rilevanti, presenti sia pure in diversa percentuale, tra i vari indirizzi, sono una grande questione aperta. Aperta non solo per rivendicare organici il più possibile funzionali, ma anche per mettere in campo altri soggetti. Le regioni, quelle che usciranno dal voto di marzo, vorranno giocare un ruolo nella programmazione dell’offerta formativa? Vorranno cercare qualche risorsa da mettere a disposizione delle scuole per dare contenuti a un contenitore? Vorranno diventare territorio educativo, rete di scuole, imprese, soggetti sociali e culturali per dare spessore ai curricoli delle scuole?

Se mettessi da parte tutte le carte che arrivano a scuola sponsorizzando progetti di ogni tipo, riempirei una stanza a semestre. E non sono solo ministeriali. Anche regioni, province e comuni, distribuiscono risorse ai più svariati soggetti per realizzare nella scuola progetti pensati altrove. Alcuni soggetti sono anche seri e propongono prodotti apprezzabili, ma che c’entra tutto questo con l’autonomia? Perché una regione, una provincia, un comune, non mette risorse a disposizione di scuole che vogliano misurarsi sul miglioramento del proprio lavoro e dei propri risultati, esponendosi a una valutazione di risultato definita in partenza tra le parti, collaborando con soggetti esterni che ha saputo coinvolgere? Quegli spazi di autonomia sono gli spazi dell’innovazione possibile, della pratica didattica centrata sulle competenze, di qualche esperienza di organizzazione del lavoro che dia gambe ai dipartimenti e ai gruppi interdisciplinari. Se anche le rivendicazioni sindacali fossero orientate a recuperare risorse per qualificare esperienze di organizzazione del lavoro nella scuola, lo spazio dell’autonomia potrebbe diventare più significativo. Se lo sciopero generale della CGIL del 12 marzo non sarà solo la giusta protesta contro politiche incapaci di affrontare la crisi, anche quella dei settori della conoscenza ma occasione per iniziare a rimettere insieme obiettivi rivendicativi concreti sui tanti aspetti irrisolti del riordino, sono convinto che la risposta del mondo della scuola non sarà irrilevante.

Come si vede, non mi rassegno né alla sola resistenza né al tenere gli occhi aperti. E non è questione di carattere. Quando parlo con i ragazzi che oggi affollano le classi della mia scuola, ci mettiamo subito al lavoro per decidere cosa e come fare. Non posso dire loro “ripassate con il prossimo Governo”.

(Anche perchè, ma questa resta una considerazione tacita, non sono affatto sicuro che potrebbe essere così diverso).

Dario Missaglia

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